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Statua di Zeus a Olimpia

Statua di Zeus a Olimpia - Quatremère de Quincy (1815) Statua di Zeus a Olimpia - Quatremère de Quincy (1815)

La statua di Zeus Olimpio a Olimpia era una scultura crisoelefantina alta circa dodici metri, realizzata dallo scultore ateniese Fidia nel 432 a.C. e collocata nella navata centrale del Tempio di Zeus a Olimpia. Oggi scomparsa, nell'antichità venne considerata una delle sette meraviglie del mondo. A completamento del grande tempio, la cui costruzione terminò verso il 456 a.C., fu chiamato ad Olimpia intorno al 436 a.C. lo scultore Fidia. Tra il completamento del tempio e la commissione della statua trascorsero vent'anni; i sacerdoti di Olimpia scelsero di affidare il lavoro a Fidia solo dopo l'inaugurazione ad Atene della sua Atena Parthénos statua di culto all'interno del Partenone ad essa dedicato nel 438 a.C. A disposizione dello scultore fu messo un edificio, a ovest del tempio, in cui sono rimaste tracce e reperti dei materiali impiegati: avorio, ceramica, pasta vitrea e ossidiana, punteruoli, palette, martelli, lamine di piombo e altro. Fidia operò probabilmente con numerosi aiuti e completò l'opera intorno al 433 a.C., visto che l'anno seguente tornò ad Atene. La statua rimase nel santuario per oltre ottocento anni, suscitando sempre stupore e meraviglia nei fedeli. L'imperatore romano Caligola (37-41), secondo Svetonio, cercò inutilmente di impossessarsi della statua con ogni mezzo per portarla a Roma. Secondo la tradizione che risale a Cedreno, storico bizantino dell'XI secolo, all'inizio del V secolo, quando il santuario era ormai in abbandono, la statua entrò a far parte della collezione di opere d'arte pagane di Lauso, che la pose nel proprio palazzo a Costantinopoli, il quale andò distrutto assieme alla collezione nell'incendio del 475. Il santuario è rimasto distrutto, probabilmente a seguito dell'incendio dello stesso provocato in base a un editto di Teodosio II. Fino al 1955-56 gli unici documenti materiali o iconografici relativi alla statua di Zeus consistevano in monete romane e gemme incise, ma in quegli anni furono scoperte, nei pressi del luogo che era stato identificato come la bottega di Fidia, le matrici di terracotta che erano state usate per la lavorazione del manto, sulle quali cioè le lamine d'oro erano state martellate pezzo per pezzo. Grazie alle matrici (le più ampie venivano rinforzate con listelli di ferro) si vide anche come le lamine d'oro venissero decorate con frammenti di vetro.